(Fonte dei dati: IAEA e WHO) A favore dei tecnici che si adoperano per riprendere il controllo dell’impianto gioca la circostanza seguente. Una volta spento il reattore, mano a mano che passa il tempo, il calore generato ogni secondo dentro il combustibile dal decadimento dei prodotti della fissione nucleare diminuisce sensibilmente (specie nei primi giorni). Si passa dal 7% del valore della potenza termica del reattore al momento dello spegnimento a un pò meno del 2 per mille dopo 15 giorni e a poco più dell’un per mille dopo trenta (cfr. la figura). Poi, però, il calo è sempre più lento (vedremo in un’altra occasione le ragioni di ciò), così che dopo un anno il calore di decadimento generato in un secondo da un reattore di taglia standard è ancora pari alla notevole potenza di quasi 700 kW. In altri termini, il calore che occorre asportare per impedire la fusione degli elementi di combustibile, con le conseguenze di cui si è parlato in altra occasione, diminuisce con il tempo e questo può rendere meno difficile l’azione delle squadre di intervento. Ciò, però, vuole anche dire che la sorveglianza dell’impianto non può essere interrotta neanche dopo tempi lunghi.
Rispetto al quadro precedente del 30
marzo vi sono alcune novità.
Diminuiscono i
valori della temperatura all’interno del contenimento primario del
reattore n. 1, ma crescono quelli relativi al n. 2. L’acqua di
refrigerazione viene immessa in tutti i reattori (attraverso diverse
vie) o mediante pompe temporanee alimentate da diesel o sistemi
elettrici provvisori. Per avere un’idea di che cosa si tratti, si
rammenta che le portate in gioco sono attorno a 7-8 m3/h.
Le misure
radiometriche mantengono lo stesso carattere di non sistematicità e
incerta significatività che ha caratterizzato l’intero arco di
tempo a partire dall’innesco dell’incidente. Tuttavia vi sono
dati che mettono in evidenza:
che la contaminazione al suolo è
spazialmente molto disomogenea (cosa non sorprendente);
che vi sono delle “macchie”
dove si raggiungono valori piuttosto alti, quali un picco, per la
deposizione integrata, di 25 MBq/m2 di Iodio 131 (1 MBq
è pari ad un milione di Bq) e di 3.7 MBq/m2 di Cesio
137 (il rapporto Iodio-Cesio potrebbe indicare che i rilasci
provengono dal nocciolo dei reattori piuttosto che dagli elementi
di combustibile immagazzinati nella piscina del reattore n. 4). E’
plausibile che i valori di picco siano associabili a precipitazioni
locali, capaci di trascinare al suolo materiale radioattivo.
Non è agevole, per
usare un eufemismo, disporre di dati sull’esposizione dei
lavoratori impegnati nel tentativo di riportare l’impianto sotto
controllo. Eppure solo un’informazione puntuale permetterebbe di
fugare il sospetto che si possa ripetere il dramma dei vigili del
fuoco e dei primi liquidatori sovietici di Chernobyl. Non bisogna
tuttavia illudersi che i margini nell’intervento siano diversi da
quelli che, in realtà, sono.
Eugenio Tabet |